Rassegna Stampa

28 Novembre 2019 – bresciaoggi.it parla del sistema MAMI VOiCE in uso presso l’ospedale Poliambulanza

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La tecnologia al servizio della vita

In un’incubatrice della Poliambulanza tre gemelli, venuti alla luce dopo 30 settimane di gestazione, stanno ascoltando la voce della mamma. Le loro giornate di «isolamento» non sono più tali grazie a Mami Voice, l’apparecchio che consente di trasmettere vibrazioni sonore all’interno della culla termica, facendoli sentire meno soli. La mamma è sempre lì, vicino a loro. «Il clima sonoro delle incubatrici fino a qualche anno fa era devastante – ammette Paolo Villani, primario del reparto di Terapia intensiva neonatale della Poliambulanza di Brescia -: dal rumore di fondo dei macchinari a quello delle voci del personale in reparto. C’era meno sensibilità rispetto ad oggi. Più che altro si pensava che i piccoli non sentissero nulla, nemmeno il dolore. E invece non è così. Pur se piccolissimi, percepiscono tutto, e soprattutto sentono tutto. Mami Voice è uno strumento importante che va ad integrare la terapia necessaria per i neonati e i prematuri. L’apparecchio trasmette il suono e le vibrazioni vocali della mamma direttamente nell’incubatrice e ricreando un ambiente ovattato, come può essere il grembo di una madre». Un suono che può essere anche una ninna-nanna, una canzone… «Sei mesi fa abbiamo approvato il progetto – spiega Villani -: il nostro lavoro non si basa soltanto nella “cura“ del bambino, ma anche nel “prendersi cura“ delle sue condizioni generali. Spesso i piccoli nati prematuri hanno necessità di degenze lunghe, anche di qualche mese. Ricreare un ambiente il meno “inquinato“ possibile, a livello di rumori, ma soprattutto che li possa far sentire ancora nella pancia della mamma, è importantissimo. Tutto ciò che può ricordare un ambiente materno è davvero prezioso e aiuta tantissimo». Mami Voice funziona a batteria, non interferisce con i macchinari collegati all’incubatrice e non produce campi magnetici. Alla Poliambulanza «l’obiettivo è di poter aumentare gli apparecchi a disposizione, perchè c’è effettivamente molta necessità – ammette Villani -. In reparto ci sono 6 incubatrici: l’ideale sarebbe avere un Mami Voice per ogni postazione, anche se grazie ad un timer può essere programmato e gestito su pazienti diversi nel corso della giornata». A CONFERMA della validità del progetto, sono già molti gli ospedali che si sono dotati dell’apparecchio nel reparti di terapia intensiva neonatale: dagli Spedali Civili di Brescia, dove ce ne sono in funzione due, ai nosocomi di Gavardo e Desenzano, solo per restare nell’ambito della nostra provincia. Secondo gli studi, basati sulle scale del dolore e sui parametri vitali e di mimica facciale del neonato, la terapia vocale avrebbe un chiaro effetto consolatorio. Fondamentale quindi il valore della voce, che avrebbe il merito di agire come il prolungamento di vita del bambino fino ai 9 mesi di gravidanza. «I risultati ottenuti da Mami Voice mi hanno spinto ancora più in là – spiega il presidente dell’associazione Alfredo Bigogno -. Attraverso un parroco della provincia di Brescia, sono entrato in contatto con suor Lucia, che lavora al Caritas Baby Hospital di Betlemme. Le abbiamo inviato un apparecchio, donato grazie al contributo di due sostenitori, e ad ottobre ci ha chiamato, dicendo che c’è la necessità di averne altri». Si tratta di una situazione molto particolare. «Circa il 90 per cento dei bambini ricoverati in ospedale a Betlemme sono palestinesi. Al di là dei problemi politici che impediscono la massima libertà di movimento, e che spesso non permettono ai genitori si stare accanto ai propri bambini ricoverati in ospedale, non è raro che le famiglie abitino lontano. Le madri inoltre devono spesso prendersi cura di una prole alquanto numerosa. Il che non consente di assistere quotidianamente il piccolo ricoverato nell’incubatrice di un ospedale. Ecco perchè – spiega Bigogno – in questa parte di mondo un apparecchio Mami Voice può davvero cambiare la vita». OLTRE AL Caritas Baby Hospital di Betlemme, Mami Voice viene già utilizzato in altre due importantissime e insostituibili strutture sanitarie: il Saint Joseph Hospital di Gerusalemme e lo Sheba Medical Center di Tel Aviv. Anche in questo caso sono state due donazioni a far sì che il «miracolo» si avverasse.